Abbiamo avuto il privilegio di intervistare Denise Cioffi, consulente esperta di welfare aziendale con una vasta esperienza nel settore e nostra collaboratrice. Nell’intervista, la dr.ssa Cioffi condivide preziose informazioni sul mondo del welfare aziendale, fornendo suggerimenti sulla progettazione di piani di welfare efficaci che possano migliorare il benessere dei dipendenti e contribuire al successo dell’impresa. Lo fa rispondendo alle domande più frequenti che le vengono poste dagli imprenditori, dando un esempio concreto di Terzo Welfare, ossia di quel “ponte” tra il welfare teorico e quello attuato nei programmi welfare di successo, protagonista del nostro libro “Il Terzo Welfare: tutto quello che avreste voluto sapere sul welfare (ma non avete mai osato chiedere)”.

> Approfondisci l’argomento: Il primo libro di Noiwelfare: una guida pratica al welfare aziendale

1. Quali aziende possono implementare un piano di welfare aziendale e qual è il punto di partenza per tale processo?

Lo strumento del welfare aziendale è adattabile sia in contesti già avvezzi che in contesti che si avvicinano per la prima volta al concetto di benessere. Non vi sono preclusioni di dimensione, settore, appartenenza o meno sindacale.

Prima di capire come strutturare un piano di welfare si deve individuare quale sia la finalità che si vuole perseguire: il welfare diventa uno strumento per arrivare ad un obiettivo, ed ogni contesto aziendale deve primariamente stabilire il proprio, distinguendo fra obiettivo a breve, medio e lungo termine.

L’approccio e la strutturazione del piano muta a seconda che gli obiettivi siano di:

  • attrazione talenti (soprattutto per settori che risentono della fuga delle competenze);
  • fidelizzazione delle risorse, spesso costruite e consolidate in azienda;
  • premialità della popolazione aziendale con una particolare attenzione al contenimento dei costi;
  • creazione di una coesione di gruppo;
  • sviluppo di logiche di benessere con un impatto sul territorio circostante (si pensi alla creazione di un’immagine aziendale sul territorio).

E in ragione della valutazione di:

  • tempistiche di attuazione perseguibili per l’azienda;
  • messaggio comunicativo da veicolare ai destinatari.

Un piano di welfare spesso intreccia molteplici obiettivi, districandosi su una progettualità che abbraccia più anni per avviarsi, svilupparsi e consolidarsi. 

Definire l’obiettivo consente di stabilire:

  • la durata del piano di welfare
  • la tipologia di welfare meglio adattabile alle proprie esigenze.

2. Come capire quale tipologia di welfare sia meglio adattabile alla propria realtà?

Definito l’obiettivo / gli obiettivi da raggiungere e le tempistiche con cui la direzione desidera raggiungerli, si potrà lavorare con una o più tipologie di piani welfare nella stessa realtà aziendale.

Per fare chiarezza dobbiamo considerare quali siano gli strumenti normativi ad oggi esistenti con cui avviare un progetto welfare.

a) Welfare per gruppi omogenei: è il progetto welfare che abbraccia una popolazione aziendale accomunata da caratteristiche oggettivamente riscontrabili, tali da farne un gruppo omogeneo avente accesso ad un medesimo paniere di servizi. Questa tipologia di welfare presuppone che l’azienda abbia sempre una visione collettiva del progetto (destinato all’intera popolazione aziendale o a gruppi omogenei di essa), garantendo equità di accesso ai medesimi servizi nello stesso gruppo. È uno strumento che risponde ad un messaggio di appartenenza e coesione di gruppo, senza verticalizzazioni.

È attivabile in ogni momento, a mezzo di un regolamento aziendale avente carattere vincolante per le parti (con possibile, ma non obbligatorio, coinvolgimento sindacale).

È uno strumento che “parla” ai destinatari in termini di accesso a servizi, resi a loro disponibili e mai monetizzabili.

Per molte aziende, che appartengano a settori che a livello di contrattazione nazionale siano già abituate al concetto di welfare, il welfare per gruppi omogenei rappresenta un possibile plus che la direzione pone a disposizione della totalità dei dipendenti o loro gruppi, sempre percorrendo logiche di eguaglianza.

È uno strumento non soggetto a restrizioni di platea in termini di tipologie contrattuali (risulta accessibile anche ai redditi assimilati al lavoro dipendente come gli amministratori, senza vincoli di RAL o retribuzione annua imponibile fiscalmente). Altresì è uno strumento che non presenta limitazioni ab origine per l’ammontare del valore dei servizi attribuibili pro capite.

b) Welfare introdotto all’interno di un accordo di II livello per il premio di risultato: è un welfare che viene veicolato tassativamente tramite accordo sindacale, consentendo ai destinatari di poter riscuotere il proprio premio di risultato anche mediante accesso a servizi che garantiscano l’azzeramento dell’imposizione previdenziale e fiscale, sia per il lavoratore che per l’azienda. 

È uno strumento condizionato al rispetto delle caratteristiche del premio di produzione detassato, quindi vincolato alla definizione a priori di un congruo periodo di riferimento, in cui stabilire e misurare l’andamento di un indicatore che, ove riscontrato vincente in termini di produttività, incrementalità, efficienza, possa dare accesso alla scelta fra monetizzazione del premio o sua riscossione in welfare. 

Lo strumento è accessibile ai dipendenti che abbiano, nell’anno fiscale precedente, non superato un reddito imponibile fiscale di 80.000 € ed ha, quale limite di massimo premio erogabile o convertibile in welfare, la soglia di 3.000 €.

Avendo chiara la distinzione fra i due strumenti, ad una realtà che vuole creare un clima di coesione o partecipazione al gruppo sarà più confacente un welfare per gruppi omogenei, dove invece l’incentivazione verticale sposerà maggiormente il welfare da premio di risultato. 

In scenari aziendali ove gli obiettivi perseguibili necessiterebbero di un approccio misto, spesso si avviano entrambe le tipologie di welfare, non essendo preclusa la loro coesistenza. 

3. Quali accortezze è bene considerare nella progettazione di un piano di welfare?

Prima di avviare un nuovo progetto di welfare, è bene andare ad indagare le pregresse esperienze che l’azienda, e quindi i suoi dipendenti, hanno già vissuto.

Precedenti esperienze possono essere un terreno su cui poggiarsi per perseguire nuovi obiettivi, ma possono altresì essere portatori di pregiudizi per i vissuti che portano con loro.

È bene quindi indagare:

  • se si siano già avute esperienze pregresse in ambito welfare;
  • se siano presenti servizi welfare già avviati ma non portati a sufficienza in evidenza;
  • la tipologia di popolazione aziendale esistente.

Il tutto per arrivare a strutturare, alla base del progetto welfare, un percorso di comunicazione che accompagni tanto la direzione quanto la popolazione aziendale.

Nella campagna di educazione, alla scoperta dello strumento, è rilevante spiegarne il funzionamento in termini non solo operativi e gestionali, ma in termini di benefici e valorizzazione degli stessi:

  • impatto immediato sulla tipologia di servizi fruibili o servizi rimborsabili;
  • gestione dei servizi, fra welfare e spese rimborsabili, in dichiarazione dei redditi;
  • analisi dell’impatto economico fra spese rimborsate a mezzo welfare e spese soggette ai limiti di detraibilità /deducibilità di legge nonché la differenza fra un recupero del vantaggio nei tempi di legge con la dichiarazione dei redditi, rispetto ad una tempistica immediata con lo strumento welfare.

Infine, il progetto welfare deve prevedere un monitoraggio dell’andamento della fruizione dei servizi, al fine di verificare se e come intervenire per migliorarne l’impatto (motivo per cui spesso una progettualità si sviluppa in più anni).

4. Quali consigli pratici può offrire per implementare con successo un piano di welfare aziendale?

Per le aziende che si avvicinano ex novo allo strumento, il consiglio è di partire con progetti di durata annuale, sperimentali, al fine di costruire un percorso che si sviluppi per gradi. Per accompagnare tanto la direzione quando la popolazione aziendale ad un cambio di paradigma.

Per le aziende che siano già in parte avvezze allo strumento, il consiglio è di intrecciare il welfare (ove esistente) già reso obbligatorio da Ccnl, con strumenti ulteriori che rispondano ad una finalità superiore di impatto sul territorio o di incentivazione alla produttività, andando a ideare percorsi che non siano solo di erogazione di servizi, ma anche di visione più ampia (si pensi a progetti che, nel proprio welfare, prevedano progressioni di carriera, acquisizione di specializzazioni a carico azienda da potersi reimpiegare nella stessa realtà, fino a programmi che, per realtà internazionali, sviluppino progetti di Erasmus professionale).

Chi è Denise Cioffi?

Consulente del lavoro a Milano, supporta prevalentemente aziende dei rami terziario e industria nella gestione delle politiche di amministrazione del personale dipendente, con specializzazione nella ideazione di progetti di welfare aziendale a medio e lungo termine.